In questa terra, estrema propaggine sud della Valle Camonica, terra di confine tra le montagne, il lago e le vaste
pianure acquitrinose che caratterizzavano tutto l'antico fondo valle, la presenza dell'uomo in epoca preistorica è
testimoniata dal ritrovamento di una piroga (carbonizzata) che fu ritrovata a Neziole.
Anche alcune incisioni rupestri restano valida testimonianza del passaggio degli antichi cacciatori che dalle
grandi pianure del Po erano risaliti lungo i ripidi pendii e gli stretti valichi per giungere nelle nostre valli ricche
di selvaggina ma ancora disabitate.
Al periodo Romano risalgono invece alcune armi rinvenute in tombe scoperte a Gratacasolo. Allo stesso periodo
sono databili anche alcuni tratti di mura a Sonvico e il primario tracciato della via Valeriana che i Romani
resero operativa dopo la loro conquista che si era consumata durante la grande guerra Retica voluta
dall'imperatore Augusto.
Era il 16 a.C., quando il Proconsole Publio Silio, dopo aver occupato la vicina Valtrompia, passando dalla val
Palot e da Zone, era sceso per queste terre per dilagare nella piana prospiciente l'attuale Pisogne per marciare
contro i Camuni.
Non è provato ma si tramanda che fu proprio sulle anguste pendici delle montagne che stavano a picco su
Pisogne e Piancamuno che si svolse la battaglia decisiva per la conquista romana della Valle Camonica: fu
certamente una furiosa mischia e i Camuni dovettero combattere con coraggio e ardore tanto da meritare il
rispetto dei Romani che solo in questo caso non procedevano al sistematico e totale annientamento fisico delle
popolazioni vinte.
Pisogne, come tutto il resto della Valle dei Camuni e di altre terre circonvicine, divenne parte integrante della
Res Publica Camunnorum, che, percorrendo anche la riva orientale del lago d'Iseo, scendeva fino a Sulzano e
saliva fino al monte Tonale. Le terre di Pisogne furono unite in una unica amministrazione politico-religiosa, in
epoca post romana e barbarica, in un pago con la vasta pieve di Rogno e poi, staccatesi da quella, acquisendo il
fonte battesimale come pieve propria, divenne autonoma con diritto di riscossione di decime.
I Benedettini, ai quali una bolla papale del 1100 attribuiva vasti possedimenti in queste (allora inospitali) terre
(in questa zona avevano beni e riscuotevano prebende anche i delegati del monastero della Valle Ombrosa di
Acquanegra), bonificarono la vasta pianura alluvionale che era sempre stata ricoperta da acque limacciose e
dalle insalubri paludi che erano l'estrema propaggine nord del Sebino (che a quei tempi si estendeva ben più a
nord delle attuali sponde).
Queste terre divennero particolarmente fertili e furono coltivante con piante da frutto e graminacee (farro,
grano, orzo ecc) che non erano mai state molto diffuse nella nostra valle.
La posizione strategica di Pisogne, a cavallo della sponda nord-est del lago d'Iseo e alle porte meridionali della
Valle Camonica, portò il borgo ad acquisire una notevole importanza militare ed economica testimoniata, in
epoca medievale, dalle possenti mura, la cui estensione è ancora valutabile dalle porte ancora intuibili in via
Torazzo, in via Monti e in via Capovilla. Pisogne, fin dal 1205, fu feudo del Vescovo insediato a Brescia che
teneva in loco un suo delegato col titolo di "Commissario Curiale".
Da documenti ufficiali della stessa Curia vescovile, che aveva esteso il proprio dominio
politico-militare-religioso anche su gran parte della Valle Camonica, risultava che nel 1270 Pisogne, con il suo
porto, era punto nevralgico per il commercio di grandi quantità di legname che era stato abbattuto nei
vastissimi boschi della media e alta valle. Questo legname, in tronchi e fustelle lavorate, veniva imbarcato e
trasportato con grandi chiatte al porto di Iseo e trasferito poi all'importante mercato di Rovato che era lo
sbocco commerciale di tutta la zona.
Anche la popolazione di Pisogne fu coinvolta più volte nelle furiose e secolari faide e diatribe tra i sostenitori
della Curia Bresciana e dell'Impero e dopo una delle tante e cruente ribellioni camune, guidata dalla famiglia
ghibellina dei Federici (1288-94), il Vescovo reagì duramente e, con l'aiuto di un forte contingente di uomini
armati, sottopose tutta la valle ad un suo delegato che prese il nome di Podestà di valle. La giurisdizione
amministrativa di questo Podestà iniziava a sud proprio a partire dal paese di Pisogne, nelle cui proprietà
terriere era stata, già dal secolo precedente, infeudata la potente e ricca famiglia dei Brusati.
Probabilmente a causa di alcune antiche donazioni contestate e forse anche per gli infeudamenti ad alcune
famiglie della piccola nobiltà locale che avevano avuto delle diatribe per delle eredità contese nella zona, i
Pisognesi, nel 1299, con atti notarili vollero rivendicare quelle terre oltre l'Oglio che erano state donate nel 1205
alla comunità, dal vescovo di Brescia. Per limitare questi numerosi scontri che costellavano la storia (non solo di
Pisogne ma dell'intera Valle Camonica) e che rendevano incerti i confini e le proprietà e anche per giungere a
capo dell'intricata e contestata questione furono nominati dal Vescovo tre "saggi": Garatto e Marochetto di
Toline e Rava di Serdegno che insieme all'arciprete di Pisogne Giacomo da Zone degli Arisi e al vicario
vescovile Cazoino Margotto sempre nel 1299, redassero un "ordinamento generale della Valcamonica".
Il 4 settembre 1299 questi "saggi" giurarono fedeltà nelle mani del potente e temuto vescovo bresciano Berardo
Maggi, che, con il titolo di "Duca di Valle Camonica" era sostenuto dai guelfi pisognesi che erano guidati da un
notissimo personaggio: Tebaldo Brusato. I Visconti, signori e duchi di Milano, furono chiamati in valle per fare
da pacieri tra le varie fazioni in lotta tra loro, ma ben presto divennero i padroni e Signori delle valli bresciane
ma, poco tempo dopo si scontrarono con la forte espansione territoriale che anche Venezia stava attuando verso
il Ducato e l'Italia di nord-ovest. Lunghi e sanguinosi furono, anche in terra camuna, gli scontri tra le truppe
milanesi e quelle di Venezia. Pisogne, più volte occupata e rioccupata, passò da un campo all'altro e, sempre per
merito della sua importante posizione strategica, ricevette, per il suo porto, privilegi ed esenzioni da entrambe le
parti.
Dopo il passaggio definitivo sotto la Serenissima Repubblica di San Marco, nel 1428, Pisogne ebbe ulteriori
privilegi, tra i quali quello, allora importantissimo, di non dover sottostare al monopolio veneziano sul sale. Con
un'apposita "Ducale" si permetteva a Pisogne e anche "alle terre dei Camuni" di importare il prezioso elemento
anche dai paesi nordici. Il sale non era solo un semplice anche se essenziale alimento, era usato anche per la
conservazione dei cibi e la concia delle pelli e la sua vendita era minuziosamente regolata e specialmente era
"imposta". Ogni nucleo familiare era infatti obbligato ad acquistare una quantità di sale fissata e a prezzi che
erano imposti annualmente. Si trattava dunque di una vera e propria tassa che era particolarmente odiata
anche in molte altre regioni italiane e che era uno dei più diffusi e comuni balzelli (anche a livello europeo) di
quel periodo.
Con un atto notarile datato 4 dicembre 1462 il comune di Pisogne, divenuta una realtà amministrativa
autonoma e con proprio bilancio, acquistò dal Vescovo Bartolomeo Malipiero, "tutti li suoi stabilimenti e
diritti… dandogli in pagamento il grandioso stabile di Bagnolo che era stato acquistato dallo stesso comune
dalla famiglia Buono" affrancandosi anche da antichi diritti feudali che ancora erano di peso alla comunità e a
molti singoli cittadini.
Il Vescovo si riservò comunque la proprietà della "Torre Grande" (detta torre del Vescovo) che, nel documento
di cessione, veniva descritta in ogni particolare e misura.
IL XVI secolo fu rischiarato, anche in Valle Camonica da molti roghi, malgrado Venezia e i suoi amministratori
avessero posto dei limiti precisi a questa giustizia sommaria: nel 1510 la Santa Inquisizione condannò e bruciò a
Pisogne (per la bassa Valle) e a Edolo (per l'alta Valle) ben sessanta donne ritenute streghe e "possedute dal
demonio" e alcuni stregoni, accusati di aver praticato incantesimi su uomini e donne, sul bestiame e sulle
colture.
Il Senato veneto, dopo questa strage (di povere persone molte volte accusate di stregoneria solo perchè il
denunciante poteva impossessarsi dei beni del condannato) s'impegnò a fondo per far cessare il fanatismo
sanguinario degli inquisitori e il nunzio apostolico di Venezia, il bresciano Altobello Averoldi, fu incaricato di
indagare su quelle buie vicende e redigere dei verbali e imporre delle precise restrizioni che in pratica posero
fine a queste tristi esecuzioni.
Il Maggior Consiglio della Serenissima Repubblica di San Marco aveva delegato Giovanni da Lezze (1610) di
redigere un Catastico (una dettagliata relazione) sulla Valle Camonica e da questa vasta opera, per noi
ricchissima di dettagli e di precise informazioni, si apprende che al grande mercato settimanale di Pisogne
convenivano armaioli e commercianti di Brescia e anche di Milano, interessati all'acquisto di parti semilavorate
di armature e di ferro grezzo per cui la Valle Camonica era nota in tutta Italia.
Il breve ma tristissimo e greve periodo Napoleonico iniziò per i Pisognesi quando nel 1800 giunse in paese il
generale francese Mac Donald col suo corpo dei Grigioni. Questo ardito soldato e le sue truppe avevano
superato i passi dello Spluga e dell'Aprica in pieno inverno (impresa eccezionale per quei tempi) per congiungersi
sulle rive del Sebino con la legione italica.
Il 31 dicembre, sempre il pieno inverno, il corpo d'armata ripartì da Pisogne per raggiungere la famosa divisione
bresciana "Lechi" che si era portata in Val Sabbia.
Nel 1838, sotto l'Impero Austro Ungarico, iniziarono i lavori di costruzione dell'importantissima strada litoranea
"Sebinia orientale" per Marone, paese che nello stesso periodo fu collegato via terra a Iseo. Questi imponenti
lavori, che occuparono centinaia di Camuni e Sebini terminarono solo nel 1850 ma finalmente la Valle
Camonica e le rive orientali del Sebino avevano un collegamento diretto con Iseo e Brescia.
Nessuna strada nuova era stata progettata e messa in cantiere da quasi 2000 anni, cioè fin da quando i Romani
non avevano tracciato la via Valeriana che era rimasta l'unica vera arteria di collegamento valligiano e che non
aveva subito reali modifiche o allargamenti fino ai lavori che gli austriaci avevano commissionato.
Nel 1818 don Giacomo Mercanti effettuò un lascito col quale, già l'anno successivo, fu aperto il collegio
Mercanti, che ebbe le scuole elementari, un ginnasio, l'insegnamento della retorica e una scuola serale per
adulti, ai quali il direttore don Bortolo Rizzi aggiunse nel 1864, dopo che il collegio era stato riconosciuto nel
1861 dal governo italiano, corsi di musica, canto e disegno. L'esperienza di questa notissima istituzione si chiuse
definitivamente nel 1885 e a nulla valse l'impegno del vescovo Giacomo Corna Pellegrini, pisognese, per
riaprirlo interessando anche il famoso prete piemontese don Giovanni Bosco.
Pisogne, già dalla fine dell'800 era molto nota per le sue filande che erano divenute tra le più attive, moderne e
organizzate della zona per la lavorazione dei bachi da seta.
Intorno al 1950, da alcune fucine per la lavorazione del ferro, che già avevano assunto una certa importanza fin
dal secolo precedente, sorsero laminatoi e acciaierie per leghe speciali ma negli anni '90 molte di queste attività
(come altre nella Valle Camonica) dovettero chiudere.
Già dagli anni '60 nella vasta piana alluvionale tra Pisogne e Costa Volpino (sulla sponda bergamasca del lago
d'Iseo) ricca di rigogliosi campi coltivati vennero edificati stabilimenti e insediamenti industriali e commerciali
che sono divenuti la principale risorsa del territorio.
Pisogne e la sua terra si stende, ai nostri giorni, dalle sponde del Sebino, alle colline del primo retroterra
lacustre alle vallate in zone montuose e questa peculiarità ha indotto, negli anni '90 a insistere anche nel settore
del turismo sia estivo che invernale non trascurando in questi anche l'aspetto culturale di notevole valenza. |